Realizzato

Stefano Beltrami ingegnere,

Luciano Veronesi architetto

Goro, (FE)

Realizzato

Considerando che Goro stesso è nato su uno scanno sabbioso formato dal Po si può ben capire quale legame a doppio filo lega la popolazione locale e questo lembo sabbioso di terra. Da sempre gli scanni erano popolati dai pescatori durante la stagione estiva per lo svolgimento di diverse attività (pesca, raccolta delle inflorescenze delle canne “pnaci”).

“Il giorno dopo la fiera, i nostri genitori caricavano ogni cosa nelle barche: rifornimenti di viveri, vestiario, attrezzature per la pesca ecc.; quando tutto era ben sistemato, mollavamo l’attracco in golena e, vogando o veleggiando, lasciavamo il paese. In quel momento, mentre le barche scendevano lentamente il fiume lasciando il paese, casa dopo casa, noi bambini con aria triste, pane e fichi secchi fra le mani, guardavamo quelle case in silenzio, come passandole in rassegna, pensando ai giorni malinconici che ci attendevano nella laguna”.

Si costruivano così degli accampamenti di barche e casoni dove si viveva e pescava per i mesi estivi per poi ritornare a Goro verso fine ottobre .

“Ottobre e novembre sono i mesi più redditizi per la pesca nella laguna, ma a metà novembre, in vista degli umidi e freddi mesi invernali, decidemmo di smontare ogni cosa e di tornare al paese. Fu un problema però sistemare nelle barche tutto ciò era servito per vivere otto mesi…..Con le barche stracariche non potemmo azzardarci di transitare lungo il litorale; si decise quindi di prendere la via fluviale. Anche qui trovammo parecchie difficoltà, in quanto i fiumi erano in piena. Arrivati sul Po di Goro, tentammo di risalirlo ma ben presto dovemmo rinunciarvi; voler superare le forti correnti e i vortici della fiumana vogando, era impossibile; ricorremmo allora all’antico sistema dell’alzana. Legammo le battane una dietro l’altra e gli uomini, le donne e i bambini più grandi salirono sulla riva del fiume con una lunga corda a tirare la piccola carovana di barche; alla fine contenti come sempre, arrivammo a Goro. Questo lavoro si poteva considerare redditizio, tenuto conto della miseria dell’epoca, ma era molto faticoso, al limite della sopportabilità umana….partivano con la barca per immettersi in quei canali e fossati che attraversavano gli immensi e folti canneti….lavoravano così, immersi nel canneto sotto un caldo afoso…la persona più forte…iniziava a tagliare le canne aprendo davanti a sé un sentiero nel quale confluivano gli altri…deponeva le piume tagliate lungo il sentiero, mentre le altre persone. Disposte in fila indiana le pulivano dalle foglie e l’ultima le riuniva in fasci da 10 chilogrammi ciascuno. A fine giornata ripercorrevano il sentiero raccogliendo i fasci di piume immersi nell’acqua, trasportandoli sino alla barca. Uscivano dal canneto un po’ prima del tramonto per portarsi in quel tratto di spiaggia che delimita il litorale e il fiume, dalle canne…Qui avevano una dimora improvvisata: piccoli capanni costruiti con fasci di canne ancora verdi e rami d’albero raccolti sulla spiaggia o tende fatte con lenzuola e piantate sulla sabbia; altri tiravano la barca sulla spiaggia, riparandosi con la vela. Dormivano in spazi molto ristretti, quasi ammucchiati; i più fortunati dormivano su materassi detti corsèle, stesi sulla sabbia o sulla barca. Al tramonto preparavano la cena accendendo fuochi all’aperto, a pochi passi sia dal fiume che dalla battigia delle onde del mare”.

Mantenere lo storico legame fra il Paese urbanizzato e lo Scanno è uno degli aspetti culturali maggiormente da salvaguardare assieme alla conservazione dell’ambiente e della natura. Non deve assolutamente essere perso il senso di appartenenza al mare e la tradizione quasi da nomadi di migrare fra i lembi sabbiosi che il mare ha restituito.

Dalle analisi derivate dal PAI Delta si ricava che il fiume Po di Goro presenta nel tratto terminale del suo corso delle deficienze di quota rispetto alla piena bicentenaria, presa dall’AIPO come quella di riferimento per il dimensionamento delle arginature di protezione. Risulta quindi di primaria importanza la messa in sicurezza del tratto arginale compreso fra gli stanti 182 e 204.

Lungo la sponda del Gran Bosco della Mesola, appare quanto mai evidente l’aumentata erosione da parte delle acque in questa fascia di transizione tra Sacca di Goro e mare Adriatico. I tubi Longard sono stati sormontati dalle acque che hanno cominciato ad erodere le sponde del Boscone, infiltrandosi nelle aree topograficamente meno rilevate. La vera protezione attuale è costituita dall’argine di difesa, in buona parte carrabile, parte presente all’interno del Boscone. La fascia compresa tra la Sacca e questo argine è la più compromessa dai fenomeni di ingressione marina e salinizzazione delle falde.

Le acque di falda, calando per subsidenza i piani campagna, emergono sempre di più, allargando nuovi specchi d’acqua salmastra. Occorre fare delle valutazioni sulla naturale evoluzione di quest’area, decidendo se accettare il cambiamento in atto, che porterà alla dominanza di specie vegetali eurialine o se combattere tale tendenza per la tutela ed il mantenimento del patrimonio boschivo nel suo attuale assetto (che in verità ha già virato decisamente verso questo scenario). 

Risulta quindi di vitale importanza così come condiviso da parere dl Corpo Forestale dello Stato Ufficio per la biodiversità di Punta Marina in data 29/04/2011 prot.2628:

“questo UTB propone la creazione di un arginello di difesa a mare, esterno all’area di competenza, secondo quanto già previsto dal Piano di Gestine naturalistica della RN “Bosco della Mesola”, con funzione di difesa e recupero ambientale, utilizzabile anche come pista ciclabile.”

Se la scelta gestionale punterà alla conservazione occorrerà mettere presto mano con interventi decisivi, all’assetto idrogeologico di questo allineamento di dune paleocostiere. I metodi per attuarlo dovranno obbligatoriamente da una parte fermare l’ingressione delle acque salate e dall’altra aumentare l’alimentazione dell’acquifero freatico con acque dolci, senza alternative di mezzo, che non farebbero altro che prolungare l’agonia dell’attuale ecosistema.

Considerato che statisticamente vi sono periodi di magra che non consentono tali portate, occorre studiare la necessità di realizzare opere che permettano lo sbarramento del cuneo e non impediscano il deflusso del trasporto solido verso il mare. Sarebbe interessante la costruzione di un sostegno delle acque in corrispondenza del ponte di barche di Gorino; tale opera consentirebbe di utilizzare il tratto a monte dell’alveo del Po di Goro come serbatoio alimentatore delle falde.

Per quanto riguarda l’apporto di inquinanti causa l’immissione di acque dolci attraverso il Po di Volano, e la rete dei canali di bonifica scaricati con l’idrovora Giralda, idrovora Bonello e Romanina, le azioni da intraprendere sono sostanzialmente due: limitazione delle portate e miglioramento della qualità delle acque recapitate entro la Sacca.

Le limitazioni dei picchi di portata di acque di scolo all’interno della Sacca sono tecnicamente possibili pensando in futuro di portare parte dei canali di bonifica a scolarsi nel Po di Goro e quindi recapitare le acque direttamente in mare aperto e non all’interno della laguna.

Si evince che il territorio che “scola” all’interno della Sacca si può dividere sostanzialmente in quattro bacini idrografici e, pur essendo lambito a nord dal Po di Goro, sgronda le acque prevalentemente verso sud nel Po di Volano e negli impianti idrovori Bonello e Giralda.

Questa consuetudine “storica” di scolo con direzione sud è stata modificata recentemente con la costruzione dell’impianto Vidara Nord nella Campagna di Mesola, progetto fra l’altro non ancora completato in quanto bacino Brasavola ancora scola nel “Giralda” . Dalla tavola grafica si intuisce immediatamente la consistente dimensione del bacino idrografico che scola nell’impianto Idrovoro Giralda e conseguentemente nella zona di Taglio della Falce.

Si potrebbe limitare la portata dell’idrovora Giralda intervenendo in due distinti modi:

– Il primo potenziando e completando il progetto del nuovo impianto Vidara Nord facendovi convogliare parte delle acque che ora l’impianto Brasavola presso Bosco M. riversa nel Collettore Giralda,

– il secondo staccando completamente il bacino di Valle Vallona dal Collettore Giralda. In questo modo si creerebbe un nuovo impianto di pompaggio nel punto più a nord del Bacino che scolerebbe direttamente il tutto nel Po di Goro.

In questo nuovo impianto si potrebbe inoltre scolare: il Canale Bentivoglio e il Seminiato riducendo così il rischio idraulico per il Capoluogo di Mesola e per la frazione di Ariano Ferrarese; scolare direttamente gli scarichi della Cartiera di Mesola e parte del bacino Malea ora pompati presso le acque basse dell’impianto di Codigoro ed inoltre tutti gli scarichi derivanti dal depuratore acque nere di tutto il Comune di Mesola presso Bosco M..

La creazione di un nuovo impianto in Valle Vallona nei pressi dell’incrocio fra via delle Riforme e via Bentivoglio ed il completamento del progetto Vidara Nord permetterebbe l’eliminazione dell’ idrovoro (Vallona nuovo) presso la Romea, l’impianto Brasavola, l’idrovoro scanno, l’idrovora Pescarina e di pompare una sola volta l’acqua di Valle Vallona.

Questa operazione porterebbe senz’altro benefici nella parte più interna della Sacca e precisamente al Taglio della Falce dove il degrado ambientale, dovuto alla pessima qualità delle acque, risulta in tutta la sua drammaticità, enfatizzata inoltre dai bassi fondali, sempre più coperti dai detriti e sostanze organiche provenienti dal Po di Volano e dall’idrovora Giralda. Si potrebbe inoltre attivare il prelievo di acqua dolce dalla Balanzetta direttamente dal Canale della Montata.